Ad Assisi, dal 22 settembre al 24 settembre scorso, si è tenuto l’incontro internazionale denominato Economy Of Francesco rivolto a mille giovani economisti, imprenditori, manager, giovani coinvolti in attività di start up e change makers (creatori di cambiamento), di oltre centoventi paesi dei cinque continenti. Il convegno organizzato dal Comune di Assisi, dall’Istituto Serafico cittadino con la collaborazione di importanti istituzioni cattoliche, le Famiglie Francescane, il Dicastero dello Sviluppo Umano Integrale e dalla Santa Sede, ha avuto come momento centrale la presenza e l’intervento, nella giornata conclusiva, di Bergoglio. L’evento ha rappresentato il punto di arrivo del lungo percorso del mondo cattolico nella definizione della dottrina sociale della Chiesa che l’attuale pontificato ha messo al centro della sua visione economica e sociale. Si tratta del manifesto economico sociale che Bergoglio, a partire dal 2019, ha lanciato per la costruzione di un’economia orientata ai poveri, al bene comune e alla cura dell’ambiente, riassunta nello slogan “dare un’anima all’economia di domani”. Bergoglio afferma che “non basta fare il maquillage dell’economia e della società” ma “bisogna mettere in discussione il modello di sviluppo” al fine di “superare il paradigma economico del novecento” che ha generato “un’economia che uccide e depredato le risorse naturali della terre”. Particolarmente intensi gli applausi dei giovani quando si è scagliato contro la “gassosità della finanza”, definendo il consumismo “una carestia della felicità”. Molto apprezzata dalla platea l’osservazione di Bergoglio sui giovani studenti delle facoltà universitarie di economia definiti “giovani dalle facce tristi, pessimiste, ciniche”. Ma l’obiettivo non è quello di un radicale cambiamento del modo di produzione. I maggiori esponenti dell’Economy of Francesco, affermano che “essere contro l’attuale mercato non significa decretarne la fine, non si tratta di teorizzare una pianificazione centrale di stampo sovietico. L’obiettivo non è essere contro il mercato di per sé, ma quello di mettere in primo piano altri valori. Il fine è quello dare al mercato “un’anima”. I concetti dell’Economia di Francesco sono ben espressi dall’economista accademico ed editorialista del quotidiano l’Avvenire, Luigino Bruno, uno dei più qualificati intellettuali cattolici. In una sua conferenza pubblica dal titolo “Il progresso della felicità” afferma che la proposta dell’attuale papato è il punto d’arrivo della dottrina sociale della Chiesa e questa, a sua volta, attinge dal carisma francescano, domenicano e gesuita, carisma che trasmette “l’energia del passato nel presente”. Ci pare, quindi, doveroso fare luce sulla radice storica del modello economico francescano.
Nella seconda metà del Trecento ci furono diverse fratture negli ordini monastici, in particolare quello francescano, dove emerse una corrente, quella dell’Osservanza Francescana, contraddistinta da un richiamo ai valori spirituali e contemporaneamente dall’apertura verso un mondo in rapida e profonda evoluzione, nel quale lo sviluppo delle città, con i suoi ceti emergenti – commercianti e banchieri – ne rappresentava la cifra storica. In tale contesto i francescani dell’Osservanza si inserirono nell’economia urbana. Nella seconda metà del XV secolo presero avvio i Monti di Pietà gestiti dai francescani. I Monti di Pietà o di Pegno: in sintesi, la prima rete del credito al consumo. I meno abbienti ricevevano prestiti in cambio della costituzione in pegno di beni. Curiosa, ma nello stesso significativa, è la distinzione che Luigino Bruno fa delle esperienze storiche del capitalismo, dove si intende il capitalismo anglosassone come l’espressione del più puro liberalismo, mentre quello latino ha una diversa natura e valenza storico-etica. Per l’intellettuale cattolico, il capitalismo latino (in altre parole quello nato e cresciuto all’ombra del campanile) non ha separato il profitto dalla carità, come hanno fatto i luterani e il mondo anglosassone, i quali distinguono tra imprese profit e imprese non profit. Il capitalismo latino è quello famigliare, dei piccoli imprenditori, delle cooperative, un capitalismo dove c’è la “biodiversità del mondo economico”, un sistema dal volto più umano e caritatevole, inclusivo dei ceti sociali. Centrale è la visione del lavoro dove viene introdotto il principio del “lavoro-dono”. Bruno afferma: “Nel lavoro c’è moltissimo dono, il dono è nell’autore del lavoro (lavoratore). Il dono che porta l’autore del lavoro è la passione, l’entusiasmo, la professionalità, la cura del proprio lavoro, valori che non vengono messi solo a disposizione dell’azienda ma sono valori di per sé”. Come sottolineato dall’economista cattolico nel Meeting di Rimini del 21 settembre 2019: “Il lavoro di per sé è un valore etico, una virtù che non deve essere necessariamente legata al riconoscimento monetario. Il riconoscimento del “dono-lavoro” fa sì che l’essere umano non sia solo “Homo Oeconomicus” ma che prevalga il “dono-lavoro” ovvero la sua creatività e soprattutto quello della relazione della reciprocità: “Homo Reciprocans”. Luigino Bruno sottolinea la centralità della condivisione tra impresa e lavoratore, infatti afferma: “L’impresa può, attraverso il salario e gli incentivi, comprare la parte meno importante del lavoratore. L’impresa deve invece comprare la parte più importante del lavoratore, il dono del lavoro, la competenza, la felicità nel creare il valore lavoro. L’impresa deve fare in modo che il lavoratore gli doni quello che l’azienda non può comprare ovvero la felicità di partecipare al progetto comune condiviso, ovvero l’impresa. Se il lavoratore non è felice lascia l’impresa, che perde quindi il dono del lavoro. Il mercato non è il luogo nel quale vi sono vincenti o perdenti. Il mercato è mutuo vantaggio. Lo scopo di un’impresa è soddisfare il cliente attraverso la felicità ovvero il riconoscimento dei valori dell’autore lavoro. Il bene comune nasce da chi fa di un bene privato un bene condiviso”. In conclusione, l’economia deve “mettere al centro il dono-lavoro e quindi le persone, non il profitto. Nelle imprese il management, rivolto solo al profitto, è distaccato dagli autori del lavoro. L’autore del lavoro nel donare entusiasmo e passione porta questi valori nell’impresa la quale cresce insieme all’autore del lavoro nel segno di una piena condivisione. Se l’impresa non riconosce questo dono, che è contenuto nel lavoro, essa non funziona e, prima o poi, perderà nella competizione del mercato e perderà il profitto”.
La cifra finale dell’Economy of Francesco è la commistione tra l’imprenditore ed il lavoratore: “Non esiste il proprietario, tutto viene messo in condivisione” e lo strumento attraverso il quale si realizza è la fraternità. La fraternità si estende al di fuori del rapporto imprenditore-lavoratore e diventa l’etica del mercato. Si afferma infatti che: “La fraternità può rendere l’economia diversa, l’altro è un fratello non un concorrente”. La contraddizione nella divisione del lavoro si verifica solo per un comportamento non etico ovvero “il peccato è quando diventiamo padroni avidi”.
Se questi sono i concetti portanti dell’Economy of Francesco occorre soppesarli e valutarne la concretezza. Il mondo economico legato direttamente o indirettamente alla chiesa romana, nel suo complesso, delinea una pratica che contraddice nettamente i valori dell’Economy of Francesco. Le imprese cattoliche, negli ultimi decenni, con la Compagnia delle Opere, lo strumento operativo di Comunione e Liberazione come assoluto protagonista, si sono pienamente inserite nel meccanismo dell’economia reale. Il successo economico cattolico, ha due origini: quello della sussidiarietà e quello dei corpi intermedi. La sussidiarietà è stata enunciata per la prima volta nel trattato di Maastricht del 1992 ove si afferma che “la sussidiarietà è una delle direttrici fondamentali che guidano il processo di formazione dell’Unione Europea”. Tale principio è stato assimilato nel corpo legislativo italiano, di fatto la struttura portante di tutto l’impianto regionale, per mano della “sinistra” in particolare dall’ex ministro della funzione pubblica Franco Bassanini. L’obiettivo è quello di massimizzare l’efficienza di un’ampia gamma di servizi statali ai cittadini, intervenendo dove si ritenga che gli enti locali possono gestire con maggior profitto i servizi. I corpi intermedi, che costituiscono il cosiddetto terzo settore, ne sono il braccio operativo. Cooperative, onlus, associazioni a vario titolo, no profit, costituiscono un sistema di privati a controllo pubblico, dove il controllo pubblico è la garanzia che l’affare sia destinato alla cerchia dei “fedeli” ovvero i corpi intermedi, in totale spregio del principio (tanto caro ai liberisti) del libero mercato. In tale contesto il terzo settore cattolico si è ben inserito e sviluppato, prova ne è la portata economica e sociale della Confederazione Cooperative Italiane di ispirazione cattolica. Di fatto è la principale organizzazione di rappresentanza, assistenza e tutela del movimento cooperativo e delle imprese sociali italiane per numero di imprese (17.400), persone occupate (527.000) e fatturato realizzato (81 miliardi di euro). I soci rappresentati sono oltre 3,1 milioni. L’evoluzione dell’universo ciellino, riabilitato integralmente da Bergoglio, dopo il commissionariamento dei Memores Domines (il nucleo confessionale integralista di CL), è lo specchio più fedele del pieno inserimento del mondo cattolico nei meccanismi del tanto detestato “mondo capitalista senza un’anima”.
Significativa l’alleanza tra CL e la sinistra italiana. La prima intesa risale al 1997 con la nascita di Obiettivo Lavoro agenzia di lavoro temporaneo, cofondata da Compagnia delle opere e Lega delle cooperative, Presidente Pino Cova, ex segretario CGIL Lombardia e della Camera del Lavoro di Milano, Amministratore Delegato Marco Sogaro della Compagnia delle opere. Vincoli rinsaldati nel 2003 con l’avvio dell’Intergruppo parlamentare sulla sussidiarietà, tra i protagonisti da una parte Maurizio Lupi (allora ciellino di Forza Italia-Pdl), dall’altra Enrico Letta (Ds, poi Pd) con l’intento di “sperimentare” un rapporto più evoluto fra programmazione statale e soggetti privati, in altre parole la spartizione della “torta pubblica”. Da allora in poi l’intesa affaristica ha girato a pieno regime. Ricordiamo tra gli esempi più significativi il nuovo ospedale di Milano Niguarda con le strutture realizzate dalla coop CMB di Carpi ed i servizi gestiti da aziende della Compagnia delle Opere; il nuovo grattacielo sede della giunta lombarda, è nato dalla stessa alleanza: Infrastrutture lombarde, la potentissima stazione appaltante controllata dalla Regione Lombardia e dall’allora Presidente regionale e massimo esponente politico ciellino Roberto Formigoni. Ancora una volta la svolta “anticapitalista” della Chiesa è il segno dell’inganno e dell’ipocrisia.
Daniele Ratti